Autocertificazione e caporalato: il caso di Lecce.

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Il caso di Lecce sul caporalato apre al problema dell’autocertificazione come idoneo strumento di garanzia dell’azienda fornitrice.

Lo strumento dell’autocertificazione ha mostrato falle di applicazione emerse dalla recente inchiesta della Procura di Lecce in materia di caporalato.

Le attività di PM nel settore del cosiddetto “oro rosso” e collegate alla raccolta dei pomodori mettono in luce un meccanismo tanto perverso quanto banale nella sua applicazione: l’autocertificazione come elemento di garanzia dell’azienda cliente nei confronti dell’azienda fornitrice o appaltatrice/subappaltatrice.

L’inchiesta avviata dalla Procura di Lecce ha evidenziato il comportamento di una di queste ditte, fornitrice di aziende di lavorazione tra le più importanti in Italia (e che ad oggi, è bene precisarlo, non risultano iscritte nel registro degli indagati): l’azienda dichiarava autonomamente il rispetto delle normative previste in materia di tutela dei lavoratori, quando invece avrebbe operato nel puro disprezzo di ogni principio etico ancor prima che legale tramite lo sfruttamento di manodopera. Due sono i temi che emergono da questa vicenda:

  • Come è possibile tutelare l’impresa cliente dalla condotta potenzialmente criminale del proprio partner in affari, posto che – nel caso di specie – il caporalato rientra nel novero degli illeciti per i quali è possibile determinare la responsabilità amministrativa dell’ente;
  • Come è possibile tutelare le imprese sane del settore, il cui rispetto delle regole determina uno svantaggio competitivo sotto il profilo puramente economico, rispetto a coloro che possono permettersi introiti più bassi a fronte di margini illecitamente elevati.

Il rischio comune a entrambi i temi è, oltre all’intervento sanzionatorio da parte dell’autorità giudiziaria e alla perdita di fatturato, quello reputazionale, tema già affrontato su questo portale.

Il decreto legislativo 231 del 2001 richiede all’azienda cliente di stringere rapporti di affari con controparti qualificate e questo implica necessariamente una adeguata attività di due diligence sia in fase di selezione del fornitore che, per quanto possibile, in fase fornitura del prodotto o servizio approvvigionato. Dall’altro lato, i fornitori hanno bisogno di strumenti in grado di dimostrare efficacemente la propria capacità di lavorare in condizioni controllate e nel rispetto della legge, come leva competitiva nei confronti dei propri concorrenti e, richiamando quanto appena scritto, offrendo adeguate garanzie al potenziale cliente.

Da questo punto di vista, lo strumento della certificazione da parte di un ente terzo può effettivamente costituire un fattore distintivo. Lo standard sa 8000 è da anni la leva utilizzata da tutte quelle imprese che operano in settori o mercati più a rischio sotto il profilo delle condizioni di lavoro, e di recente è stato affiancato dalla norma ISO 37001 in materia di anticorruzione: entrambi contengono requisiti molto chiari sulle relazioni con le controparti per assicurare un controllo della filiera tale da non esporre l’azienda certificata ad accuse di condizioni di lavoro non etiche (nel primo caso) o di condotte manipolatorie del mercato (nel secondo) tanto per la propria parte quanto per la parte affidata all’esterno. A differenza dell’autodichiarazione, la certificazione da parte di un ente terzo indipendente – il quale sotto il profilo reputazionale (e non solo) si espone ad un rischio di credibilità molto alto – rappresenta una dichiarazione di intenti nei confronti di tutte le parti interessate, le quali (aspetto non sempre messo adeguatamente in evidenza) possono rivolgersi direttamente all’ente certificatore se abbiano notizia di violazioni da parte dell’azienda certificata.

Il valore dello strumento della certificazione è riconosciuto anche dal legislatore, tanto che le aziende conformi allo standard OHSAS 18001 (salute e sicurezza dei lavoratori) beneficiano automaticamente di sgravi fiscali sui versamenti previdenziali, così come il possesso determinate certificazioni e altri requisiti dimostrabili (es. conformità al Decreto Legislativo 231 del 2001, certificazioni) costituiscono sempre più spesso un vincolo per l’accesso tanto a bandi di gara pubblici quanto a trattative private.

Come a dire: non basta dire di essere bravi, bisogna poterlo dimostrare.


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Alfredo Sannoner

Alfredo Sannoner

Alfredo Sannoner è Dottore in ingegneria e calligrafo, ha una ampia competenza nei Sistemi di Gestione ed è un esperto di analisi organizzativa e di rischio secondo il decreto legislativo 231/01, nonché membro di numerosi Organismi di Vigilanza. Completa la sua esperienza professionale la conoscenza della normativa GDPR. Inoltre, è formatore sulle tematiche D.Lgs 231/01 e GDPR. Trasparenza, lealtà, competenza ed etica sono probabilmente i suoi valori più importanti nel suo lavoro quotidiano lavoro. Consulente senior di Probitas e PK Consulting da più di 15 anni.

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