Il Whistleblowing è legge!

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Whistleblowing è legge: la denuncia del malaffare da parte del dipendente ora è un Diritto tutelato e uno strumento di prevenzione e repressione della corruzione.

Il Whistleblowing è legge: la denuncia del malaffare da parte del dipendente ora è un Diritto tutelato e un importante strumento di prevenzione e repressione del reato, soprattutto della corruzione.

In Italia si è iniziato a parlare di whistleblowing quando il sistema anticorruzione (Legge 190 del 2012) ha iniziato a muovere i primi passi ed ha innovato in tal senso il Testo Unico sul Pubblico Impiego con uno specifico articolo (art. 54 bis) riferito alla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.

Si è percepita sin da subito la necessità di un intervento di più ampio respiro, la necessità di preparare il contesto culturale, di creare un linguaggio comune, una forte sensibilizzazione ed un’importante condivisione valoriale, in sintesi la necessità di rassicurare il segnalante, di supportarne “il coraggio e la rettitudine” (riprendendo le parole del Presidente del Senato Pietro Grasso) e vincere sulla diffusa rassegnazione.

Diversamente il whistleblowing sarebbe rimasto un’arma spuntata o, addirittura, un’arma utilizzata contro il whistleblower… Per anni si è assistito ad un fenomeno tristemente noto, concretizzatosi nella convivenza tra la condivisa (almeno apparente) e proclamata necessità di introdurre una serie di tutele per il whistleblower ed un’ostinata resistenza che ha bloccato l’iter legislativo.

A dare la spinta all’iter legislativo è stata la storia di un dipendente di un’azienda lombarda a partecipazione pubblica che ha patito una grave ingiustizia per aver denunciato l’utilizzo eccessivamente disinvolto delle carte di credito aziendali da parte del Presidente e, dopo una lunga attesa, il 15 Novembre 2017 è stata approvata la legge su “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”: 357 i voti favorevoli, 46 i contrari, 15 gli astenuti.

Da qualche giorno il dipendente pubblico che segnala al RPCT, all’ANAC o ai magistrati ordinari e contabili un illecito che abbia conosciuto in ragione del rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altre misure ritorsive; anzi, è previsto il reintegro in caso di licenziamento e la nullità di ogni atto discriminatorio o ritorsivo.

È prevista l’irrogazione da parte di ANAC di sanzioni amministrative pecuniarie (sino a 50.000 euro!) per le ipotesi in cui l’ente adotti misure discriminatorie, non implementi procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni o, comunque, le adotti non conformemente alle Linee Guida che verranno adottate dalla medesima Autorità ovvero, da ultimo, per le ipotesi in cui il Responsabile ometta attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.

Raccordando le due posizioni, quella del segnalante e quella dell’ente, i diritti dei quali devono trovare un equilibrio può evidenziarsi che se il primo è ampiamente tutelato da un principio di segretezza sull’identità, l’ente ha il potere sottoporlo a procedimento disciplinare ed irrogare una misura sanzionatoria nei di lui confronti qualora risulti l’infondatezza della segnalazione e che la stessa è non è stata effettuata in buona fede.

Se queste sono le principali novità introdotte, l’ambito soggettivo di riferimento merita un’autonoma riflessione. La tutela del whistleblower, oggi, vale per tutte le amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti pubblici economici e quelli di diritto privato sotto controllo pubblico, e per chi lavora in imprese che forniscono beni e servizi alla PA, ma si estende anche al settore privato in ossequio a quanto previsto dall’art. 2 che riforma l’art. 6 del d.lgs 231 01.

A tal proposito nei modelli di organizzazione, gestione e controllo dovranno essere previsti dei canali che consentano di presentare segnalazioni circostanziate di condotte illecite rilevanti ai fini del Decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti o di violazioni del modello stesso e che garantiscano, altresì, la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione. Nel sistema disciplinare dovranno, peraltro, prevedersi specifiche sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante nonché, specularmente, di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.

È senz’altro evidente il legame del nuovo comma 2 bis dell’art. 6 d.lgs 231 01 con quanto previsto dal precedente comma 2, lett. d) e, dunque, con l’obbligo di prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli (cc.dd. flussi all’Organismo di Vigilanza). La previsione del whistleblowing (comma 2 bis) differisce da quella dei flussi informativi all’Organismo di Vigilanza (comma 2, lett. d) per un maggior gradiente di specificità della disposizione normativa sia in termini di requisiti formali (elementi di fatto precisi e concordanti) sia in termini di contenuto (condotte illecite rilevanti ai fini del Decreto), ma i punti di contatto sono, in ogni caso, di grande rilievo.

In primo luogo la tutela del nuovo comma 2 bis è riservata a chi segnala violazioni del Modello, quindi anche a coloro che assolvono agli obblighi informativi di cui al comma 2, lett. d).

In secondo luogo se da un lato il sistema dei flussi informativi è finalizzato a garantire alla Società che abbia scelto di implementare un Modello 231 la continuità, l’effettività e la concreta possibilità di vigilanza sul medesimo da parte dell’Organismo a ciò deputato e, dunque, la tenuta del sistema dei controlli interni e la tutela del patrimonio societario, e dall’altro il whistleblowing e la tutela del whistleblower sono stati introdotti per assicurare una maggior efficacia all’impegno di prevenzione e repressione del malaffare, l’obiettivo è il medesimo seppur visto da prospettive differenti. Del resto anche l’impegno della singola Società ha una doppia anima: da un lato tutelare sé stessa dall’altro contribuire al più ampio “sistema”.

Comparando la disciplina del whistleblower nel settore pubblico con quella nel settore privato, restano aperte alcune questioni: c’è un obbligo di indagine rispetto alle segnalazioni, la cui omissione è punita con sanzioni amministrative pecuniarie? Qual è il soggetto responsabile delle segnalazioni e del conseguente potere/obbligo di indagine? Sarà interessante riflettere se la scelta di non esplicitare le risposte a detti quesiti potrebbe significare un implicito “ampliamento” di ruoli e responsabilità in capo allo stesso Organismo di Vigilanza…

L’interazione tra normative differenti non finisce qui. Lo Standard ISO 37001 (Sistema di gestione per la prevenzione della corruzione), in buona sostanza, ha di fatto anticipato la novità formalizzata con l’approvazione della Legge sul Whistleblowing lo scorso 15 Novembre 2017.

Già dallo scorso Ottobre 2016 ciascun Ente pubblico o Società pubblica o privata che voglia implementare un Sistema di Gestione certificato secondo lo Standard UNI ISO 37001 deve attuare procedure che favoriscano e consentano la segnalazione in buona fede o sulla base di una ragionevole convinzione atti di corruzione tentati, presunti ed effettivi (anche in forma anonima) e vietino ritorsioni e proteggano coloro che effettuino le segnalazioni dopo aver in buona fede sollevato o riferito sospetti. Non solo. La Società che voglia implementare detto Sistema di Gestione deve, altresì, attuare procedure di indagine e gestione della corruzione. Sembrerebbe dunque che un Ente che implementi l’anzidetto Sistema di Gestione sia necessariamente conforme alla Legge italiana in commento, sennonché lo Standard UNI ISO è norma facoltativa, per converso la normativa nazionale sul Whistleblowing è obbligatoria ed applicabile indistintamente.

Attenzione, però: indistintamente nel settore pubblico, non già in quello privato! La scelta di aver introdotto l’estensione al privato mediante l’ampliamento dei requisiti minimi necessari dei Modello 231 (art. 6 d.lgs 231 01) implica un’applicazione limitata alle Società che abbiano scelto (!) di implementare un Modello di organizzazione, gestione e controllo. Il fatto che la Società abbia già dimostrato di voler contribuire attivamente alla prevenzione del rischio da reato implica la necessità di tutelare i segnalanti, e questo ha una sua logica, ma può forse ritenersi che una scelta contraria della Società escluda la necessità di tutela? Forse la prospettiva di ampliamento dell’ambito soggettivo merita una qualche riflessione e l’alimentarsi di una qualche aspettativa

Sarà senz’altro interessante, oltreché opportuno, attendere il maturarsi di un sufficiente periodo di applicazione della Legge prima di esprimersi su eventuali margini di miglioramento, intanto possiamo commentare positivamente l’approvazione di una Legge che il Presidente di ANAC ha definito “una norma di civiltà”.

Sarà interessante osservare quanto l’efficacia della tutela introdotta riuscirà ad incrementare l’efficacia di uno strumento, per certi versi, già esistente e dai più ripugnato per paura. Sarà, parimenti, interessante osservare gli sforzi dei vari soggetti in campo: gli Enti e le Società rispetto all’obbligo di non ritorsione e, auspicabilmente, alla formazione dei dipendenti, i Responsabili rispetto all’obbligo di indagine e, da ultimo, i dipendenti rispetto all’esercizio di un diritto (ormai) tutelato e, comunque, rispetto alla condivisione valoriale che dovrebbe muoverli.

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Chiara Morresi

Chiara Morresi

Chiara Morresi, avvocato del Foro di Macerata, consulente in tema di Governance, Risk Management e Compliance, con una spiccata propensione all’interdisciplinarietà. Cura la progettazione, l’implementazione e l’aggiornamento di sistemi di controllo interno in materia di Responsabilità Amministrativa degli Enti, Anticorruzione e Protezione dei dati personali (GDPR). È Professional presso PK Consulting S.r.l. e presso Probitas S.r.l. ed autrice di articoli a commento delle novità introdotte in materia di prevenzione del rischio da reato.

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