Il 28 Gennaio 2021 Transparency International ha pubblicato il Corruption Perceptions Index 2020: l’Italia si presenta con un punteggio di 53/100, collocandosi al 52° posto nel mondo su 180 Paesi. Mantiene invariato il punteggio ma perde una posizione rispetto all’anno precedente, rallentando quella crescita che, dopo un’impennata avuta tra il 2012 e il 2018 (quando in 6 anni guadagnava 10 punti, salendo da 42 a 52 punti), negli ultimi 2 anni si arresta a 53 punti.
Chiaro è che se in una scala da 0 a 100 dove a 0 troviamo i Paesi ritenuti molto corrotti e a 100 i Paesi ritenuti più “puliti”, il rallentamento della crescita deve necessariamente essere inteso come uno stimolo a fare di più.
È a tutti noto, per quanto si ritiene sia sempre opportuno rammentarlo, come il CPI misuri la percezione del fenomeno corruttivo e non, invece, la presenza effettiva del fenomeno corruttivo e come la misurazione avvenga con una metodologia che cambia ogni anno proprio per riuscire a dare uno spaccato sempre più attendibile, mettendo in relazione peraltro una molteplicità di criteri. Ma perché la misurazione della percezione è così importante? Può davvero ritenersi così dirimente un dato puramente soggettivo?