La mancata adozione del modello 231 da parte dell’ente quale elemento fondante l’imputabilità, a prescindere, della “responsabilità 231” ha portato la Corte di Cassazione a esprimersi riguardo al modello di organizzazione, gestione e controllo seguendo un orientamento meno rigido rispetto al passato. La Sentenza 18413/2022 (Quarta Sezione Penale) ci offre l’occasione per riflettere ancora una volta.
Si arriva dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione dopo che i Giudici di merito avevano ritenuto configurabile la responsabilità 231 in capo ad un’azienda operante nel settore della cartotecnica “in ragione dell’assenza di un modello organizzativo avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro […]” in seguito ad un infortunio di una dipendente rimasta ferita ad una mano durante un’operazione di raddrizzamento di un cartone che non scorreva nella macchina piegatrice e incollatrice.
Il non aver predisposto un insieme di accorgimenti idonei a prevenire il rischio da reato del tipo di quello realizzato e quindi la mancanza del modello 231, ovvero la sua inidoneità ovvero, ancora, la sua inefficace attuazione non rappresentano ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente, affinché possa ascriversi la responsabilità 231 ad un ente, la Corte di Cassazione ricorda, sono diversi gli elementi che devono concorrere: l’immedesimazione organica tra ente e autore del reato, la commissione di un reato presupposto, l’interesse o il vantaggio per l’ente e il nesso causale tra il reato commesso e la carenza o l’inadeguatezza delle cautele preventive predisposte.
La mancata adozione del modello non sempre significa responsabilità 231, ma, attenzione, la mancata adozione del modello 231, se concorre con gli altri elementi costitutivi non può che significare responsabilità 231.
È vero che le Procure della Repubblica in alcune aree geografiche non contestano la responsabilità 231, è vero che alla luce dei dati raccolti dall’Università Statale di Milano su sei anni, 2016-2021, di applicazione della disciplina sulla responsabilità delle imprese da parte del Tribunale di Milano si è apprezzata una scarsa efficacia dei modelli e, riprendendo la sentenza poc’anzi richiamata, è vero che la mancanza di un modello organizzativo 231 non vale ex se a far scattare la responsabilità, anche nei sempre più frequenti casi di infortunio sul lavoro, ma è altrettanto vero che l’adozione del modello organizzativo deve rappresentare sempre più un vero investimento a tutela dell’ente, dell’imprenditore e, a cascata, di tutti gli stakeholders dell’ente.
Che non vi sia costante e uniforme contestazione da parte delle Procure della Repubblica è un dato di fatto con il quale ancora si dovrà fare i conti fintantoché l’azione penale resterà facoltativa in tale ambito, ma è proprio per via di questa “imprevedibilità” non è forse saggio assumersi il rischio.
Che non vi sia una spiccata efficacia del modello 231 così che molti enti che ne siano dotati si trovino poi a subire una condanna per inidoneità o per inefficace attuazione deve far riflettere, molto spesso, sulla serietà dell’investimento, sulla professionalità dei consulenti scelti e sull’effettiva esistenza di una cultura della legalità in azienda; per converso non deve di certo far diffidare dall’adozione dello stesso.
Da ultimo, che la mancata adozione del modello non necessariamente esponga l’ente al rischio concreto di una condanna deve far riflettere a contrario su quanto effettivamente sia alta la probabilità che la mancata predisposizione di un adeguato strumento di prevenzione possa collegarsi causalmente alla condotta illecita della persona fisica (soggetto apicale o sottoposto) volta a soddisfare l’interesse o a garantire il vantaggio dell’ente e, quindi, a far configurare la responsabilità 231.
Non è tutto. Pur prescindendo dal vizio del percorso argomentativo che la Corte Suprema di Cassazione contesta ai Giudici di merito, che avrebbero peccato nell’automatico binomio mancata adozione del modello-responsabilità 231, l’art 2086 c.c., nella sua nuova veste, non fa che avvalorare come la scelta (!), perché di scelta si tratta, di adottare il modello organizzativo consenta all’imprenditore di assolvere al “dovere (!) di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”.
Adottare un idoneo modello di organizzazione, gestione e controllo, lavorare perché sia efficacemente attuato, assicurarsi che effettivamente vi sia un organismo deputato alla vigilanza sullo stesso tutela l’ente e non solo.
Tutela l’ente che quotidianamente può contare su uno strumento organizzativo che migliora anche l’efficienza dei processi aziendali, tutela l’ente che, soltanto così, può aspirare all’esimente laddove dovesse essere contestata la responsabilità 231. Tutela l’imprenditore che può, così, dimostrare di aver istituito quell’assetto organizzativo richiesto dall’art. 2086 c.c. e, ancora, tutela gli stakeholders, primi fra tutti i dipendenti che, da un lato possono contare su un patrimonio aziendale posto al riparo da sanzioni potenzialmente dirompenti e dall’altro lato sanno di prestare la propria attività lavorativa in un ambiente manifestamente dedito alla legalità e alla prevenzione del rischio da reato.